M.O.Capitano Guido Corsi
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- Pubblicato: 19 Marzo 2020
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Nato a Trieste il 1° gennaio 1887 da Enrico Corsi, piranese e da Angelina Talkner, è una delle più belle figure del volontarismo giuliano, dal temperamento consacrato al dovere come figlio, come studente, come insegnante e come soldato. Allievo del nostro ginnasio comunale, aiutava la madre, rimasta vedova quando era ancora ragazzo, dando lezioni; iscrittosi all'università di Vienna, passò successivamente all'Istituto di studi superiori di Firenze, dove, nel 1908, si laureò in lettere; da Firenze passò per insegnare nel ginnasio dove era stato discepolo e dove spese tutte l'energie del suo forte ingegno, contribuendo ad alimentare nei suoi allievi la fiamma che nel limite delle loro forze tutti i docenti della scuola vi tenevano accesa.
I frutti dei suoi studi di allora, stanno a dimostrare la sua dottrina di umanista ed il suo temperamento artistico; accanto ad abbozzi su Platone, sul Pascoli, sul Tasso, su Dante, stanno i saggi compiuti su Luciano e Plutarco.
Quando nel 1914 si profilò la guerra tra l'Italia e l'Austria, in una notte di dicembre, nell'infuriare di una bufera, passò il confine e, nell'attesa del conflitto, insegnò ad Arezzo, cercando di preparare gli animi ai prossimi eventi.
Ne sono prova l'allocuzione "Coscienza nazionale e irredentismo" da lui tenuta ad Arezzo il 21 aprile 1915 ed il discorso da lui pronunciato presso la tomba di Garibaldi, a Caprera, nel centenario della nascita dell'Eroe.
Scoppiata la guerra, si arruolò volontario, col nome di battaglia Colombo, nell'8° Reggimento Alpini, a Udine, dove venne assegnato al distaccamento di Gemona.
Qui trovò arruolati molti amici della Società Alpina delle Giulie, della quale era stato per molti anni socio affezionato ed attivo. Il 6 agosto partì per l'alta Carnia, assegnato alla 6 a compagnia del battaglione Tolmezzo, raggiungendo il Pal Grande che, assieme al Freikofel e al Pal Piccolo, costituiva una zona quanto mai contrastata fra gli opposti schieramenti.
E' di quei giorni la lettera, diretta a persona amica, nella quale così si esprimeva: "Ho ancora viva sul mio volto l'impressione del bacio fraterno che proprio oggi un mese ci siamo scambiati senza vederci a Sutrio. Io ero appena disceso con la mia compagnia dal Pal Grande; vinto dalla stanchezza mi ero addormentato nel corridoio dell'accantonamento a noi destinato; verso le tre del mattino una voce a me ben nota mi svegliò dal sonno, una voce che eccitava quelli che dovevano partire. Chiamai: Ruggero! Egli riconobbe la mia voce. Riuscimmo a darci un abbraccio augurale. Povero Ruggero. Era Ruggero Timeus che doveva salire sul Pal Piccolo, dove pochi giorni più tardi (14 settembre) cadeva colpito a morte da una granata austriaca". La lettera di Corsi chiude con le parole: "Troppo presto è morto. Questa guerra santa, che con ardore e con fede egli aveva invocata, meritava di vederla compiuta: nessuno più di lui avrebbe meritato di vedere Trieste redenta e l'Italia avviata verso nuovo destino".
La Strafe-expedition (maggio 1916) lo colse sul monte Cima, a oriente del torrente Maso, che il 26 maggio gli austriaci attaccarono in forza. Nell'azione rimase ferito alla spalla sinistra, ma ebbe conforto dal fatto che in quella giornata due battaglioni ungheresi erano stati rotti e le posizioni del monte Cima erano rimaste nelle nostre mani.
Non ancora guarito chiese di poter tornare al fronte ed, eludendo il decreto che teneva allora lontani dalla linea del fuoco gli irredenti, riuscì a tornare al battaglione Feltre, che il 27 agosto 1916 aveva occupato, dopo aspra battaglia, il monte Cauriol, la superba piramide rocciosa delle Alpi di Fassa. Come il monte Nero di Caporetto ed il monte Canin, anche questa cima ebbe il suo canto alpino, che divenne poi popolare. Alcune sue strofe dicevano:
"Genitori, piangete, piangete
vostro figlio è morto da eroe sull'aspre cime del Monte Cauriol
il suo sangue l'à dato all'Italia
il suo spirto ai fiaschi del vin.
Faremo fare un gran passaporto
o vivo o morto dovrà ritornar".
La permanenza di Corsi su questa cima è stata molto lunga ed un suo commilitone del Feltre così ebbe a ricordarla: "Quante volte, nelle notti d'inverno, egli s'intratteneva con noi lungamente a ripeterci con passione versi di Dante, di Foscolo e di Alfieri, i suoi poeti preferiti; quante volte ci aveva parlato con animo di figlio innamorato della sua vecchia mamma, rimasta lontana, e della sua Trieste".
Ma all'improvviso, sul finire dell'ottobre del 1917 giunsero anche lassù, prima ancora delle notizie ufficiali, voci di sventura, dapprima incerte e vaghe, misteriose, poi precise, impressionanti: il nemico aveva attaccato a Caporetto e invadeva il sacro suolo della patria: tutte le solide cime delle Alpi di Fassa dovevano essere abbandonate.
In una sua lettera di quei giorni scrive: "Frementi di sdegno gli alpini hanno abbandonato le posizioni che erano costate loro tanto sangue e sudore e, quando ci fu comunicato l'ordine di ripiegare dal Cauriol, noi ufficiali rimanemmo costernati. Per raggiungere il Grappa, come portare i nostri uomini attraverso ai loro paesi? Invece nessuno ci ha abbandonato; sono passati davanti le loro case, sotto gli occhi delle loro donne e dei loro figliuoli, esempio mirabile di fermezza, di disciplina e di abnegazione, e tutti sono saliti sul Grappa".
Il Feltre venne disposto dapprima in piccole guardie dal Monfenera al Monte Tomba, allo Spinoncia, a Fontana Secca, al Col dell'Orso. Successivamente la battaglia si accese su tutte le quote del Grappa, volendo gli austrogermanici aver ragione della nostra resistenza e scendere nella pianura.
Ma alpini, fanti, bersaglieri, artiglieri e i ragazzi del '99 opposero dappertutto un'accanita resistenza. E così si arrivò al dicembre del 1917, allorquando il nemico concentrò le sue forze attorno al saliente del Solarolo, dello Spinoncia e del Valderoa.
L'alba del 13 dicembre 1917 trovò il battaglione Feltre, in attesa di un sicuro attacco, sulla cima e sul costone del Valderoa. Sin dalle prime ore del mattino un fuoco terribilmente preciso colpì le trincee, distrusse i reticolati, sfondò le gallerie appena iniziate; alle 11.30 il nemico lanciò all'attacco la 51 a divisione germanica, frammischiata a reparti tirolesi di Standschutzen, ma i nostri reparti non cedettero. Al centro, dove più forte era stato l'attacco, il Feltre non arretrò di un passo; la 64 a compagnia venne pressochè distrutta ed il suo comandante, il capitano Guido Corsi, mentre con i rimasti si lanciava al contrattacco, uscito fuori dalla trincea, rimase colpito da una pallottola, che lo uccise. Il suo attendente ne trasse indietro il corpo perché non cadesse in mano del nemico. Gli alpini superstiti spararono a bruciapelo sull'avversario, lanciando le poche bombe a mano di cui ancora disponevano e utilizzando i sassi della trincea come proiettili e così la cima del Valderoa fu salva. (Renato Timeus)
«Nato in terra irredenta, dopo aver dedicato ai diritti della sua Patria tutto il suo ingegno forte di molti studi,
si offerse ai sanguinosi cimenti della guerra,
fulgido esempio di eroismo ai dipendenti che lo amarono, e che, chiamato ad altro ufficio, preferì non lasciare.
Ferito mentre strenuamente combatteva, non appena guarito volle subito ritornare al fronte, e vi affrontò sempre faccia a faccia il nemico fuori delle trincee, primo fra tutti, più volte respingendolo con prodigi di valore, anche se superiore di forze.
Gloriosamente cadde colpito a morte sulla inviolata trincea, mentre i pochi superstiti della sua compagnia, da lui fino all'estremo animati, rintuzzavano I'avversario.
Val Sugana, 26 maggio 1916; Cima Valderoa, 13 dicembre 1917».